La notizia di ieri è stata come un pugno nello stomaco.
Arrivata con un messaggio sul cellulare, e con la paura tremenda di conoscerli personalmente, vista la nostra piccola comunità, ho letto freneticamente i primi articoli dei giornali on-line alla ricerca dei nomi.
Brevi telefonate si sono inseguite poi tra amici e conoscenti, per condividere un pensiero, anche solo per cercare di dare una risposta plausibile alla domanda che continua a ronzare nella testa di ognuno di noi: “cosa è successo?”.
Io non sono riuscito ad andare oltre la pagina bianca del monitor, con il cursore che lampeggiava quasi a sollecitare una riflessione, un pensiero che proprio non è riuscito a formarsi.
Allora pubblico in questo spazio la riflessione dell’on. Mario Cavallaro, una riflessione che condivido appieno.
Una tragedia, un immenso dolore per chi ama questo sport.
Questo il primo sentimento che la comunità dei sub prova dopo la giornata terribile di ieri, contrassegnata da lutti drammatici.
Sentiamo di doverci stringere intorno alle famiglie, in attesa – come centinaia di volte sono state le nostre – di un ritorno festoso, fatto di racconti e memorie e che invece hanno visto trasformarsi quel tempo prima nell’angoscia e poi nella sgomento e nella notizia della terribile perdita.
Sentiamo di non poter e dover strumentalizzare, speriamo altri non lo facciano per disinformazione, per vanagloria insensibile, per la miseria che talvolta anche di fronte alla morte prende gli uomini questa orribile vicenda.
Ci sono accertamenti, indagini, ricerche doverose di responsabilità, e dobbiamo rispettarle in silenzio.
Noi che cerchiamo di occuparci di quel che accade nel mondo subacqueo anche dopo finito il rito meraviglioso e qualche volta terribile del tuffo nel blu o nel buio di una grotta sappiamo quanto è difficile, complesso lottare contro la fatalità, contro la superficialità, la distrazione, l’incuria, e sappiamo che la prudenza, le regole, l’esperienza devono sempre avere la supremazia, essere rispettate, se non sono sufficienti essere rese più severe, più chiare, tanto più intransigenti quanto più da esse dipende la vita e la morte.
Non può consolarci la retorica di una fine nel mare profondo che amiamo e che in fondo ciascuno di noi ha almeno qualche volta temuto e rischiato.
Il pericolo c’è, non si può eliminare, ma non si può e non si deve morire tutte le volte che può essere evitato, tutte le volte in cui non solo il caso, ma le nostre debolezze ed incertezze sono lì a ricordarci il rischio, la difficoltà, l’ostilità degli ambienti che visitiamo con grande amore.
Il Cristo degli abissi prenderà di sicuro con se i nostri amici, noi preghiamo e lavoriamo da adesso anche per loro.