“Sono stata finalmente a Sharm” mi dice un’amica ieri sera “ma devo dirti che tutti questi colori così vivi come mi aspettavo di trovarli non ci sono stati. Eppure guarda queste foto” e mi allunga il suo Iphone.
Faccio un rapido scroll delle immagini e devo dire che l’esplosione di colori su pesci pagliaccio, anemoni, e quant’altro, è davvero incredibile.
“Vedi” insiste la mia amica “guarda, io invece ho visto tantissimi pesci e dai bei colori, ma nessuno veramente così. Colpa dell’inquinamento?”.
“Non proprio, qui la colpa è del post-produzione” le rispondo guardando da quale sito provenivano le immagini.
Eh si, perché ormai la post produzione con photoshop è diventato il lavoro principale del fotografo che magari impiega 40 minuti a scattare buone foto in altissima risoluzione e poi ne passa almeno il doppio su ogni singola scatto per dare luce, per tagliare, ingrandire, ridurre, levare, ritoccare, tanto che quello che si ottiene alla fine è un prodotto da far invidia ai creatori del celebre cartoon “Alla ricerca di Nemo”.
L’eccesso di perfezione, di esaltazione, si è trasferito ormai alla grande anche nel mondo subacqueo tanto che parlare di “metrosexual dell’immagine” non è poi così sbagliato. Non si lavora più per inserire in digitale il filtro che una volta veniva posto in maniera analogica, non si lavora solo per dare luce ai colori naturali, ma si “gioca” così tanto con le funzionalità dei programmi di grafica da alterare alla fine la realtà.
Non è sbagliato, per carità, anche questa è arte e anch’io mi emoziono di fronte a certe fotografie.
Ma deve essere considerata appunto come arte fotografica, non certo come la “cattura di un momento” rimanendo sempre consapevoli che la realtà è ben diversa. Una fotografia “naturalista” per me deve contenere al massimo la post-produzione, lavorare per eliminare i difetti quali macchioline sul sensore, condensa della macchina, bilanciamento dei bianchi, sospensione…insomma esclusivamente nel “togliere” più che nell’ “aggiungere”.
E bisogna incominciare a considerare questa differenza anche nei concorsi fotografici che, nazionali ed internazionali, oramai premiano esclusivamente queste foto “manipolate” che ritraggono poi in maniera esclusiva i mari tropicali o orientali, snobbando di fatto mari “poveri” quali il Mediterraneo.
E successivamente allargare il discorso anche alle riviste specializzate del settore che, sempre più, vuoi per comodità, vuoi per semplicità, vuoi perché ormai inseguono il mercato senza esser più parte attiva del “thinkthank” strizzano l’occhio a questi lavori.