Quanto dura un secondo?
Senza scomodare la teoria Einsteiniana per scoprire come spazio e tempo sia concetti del tutto relativi, fermatevi a pensare e scoprirete come la percezione di alcuni particolari vi appare differente in base ai vostri ricordi. La profondità del mare dove vi siete immersi per la prima volta con maschera e boccaglio, la lunghezza della piscina dove avete imparato a nuotare, l’interminabile tempo dell’ora di nuoto con le palette su le mani e il pull-buoy tra le gambe…
E anche al corso palombari è la stessa cosa: la sveglia che suona alle 5:15 e quei pochi secondi in cui rimani ancora sotto le coperte, in attesa che qualcuno vada ad accedere la luce, crogiolandosi nel tepore e pensando che sino alla sera, quelli sono i pochi secondi in cui le fibre del tuo corpo resisteranno all’inerzia e alla frenesia della giornata.
La corsa mattutina prima dell’alba. Con il sudore che inzuppa la maglietta, le mani fredde, il fiato corto, i polpacci che bruciano salendo scalinate che sembrano infinite, scoprendo che esistono muscoli fino ad allora ignorati, determinare la posizione esatta di milza e fegato che ad ogni respiro sembrano essere colpiti da coltellate. Pensare, desiderare con tutte le forze che qualcosa o qualcuno ponga fine alle sofferenze e vedere il tutto venire spazzato via nell’istante in cui il sole si staglia da sopra la collina, illuminando il Golfo, le isole del Tino e della Palmaria, Portovenere, in un istante che si fissa nella memoria per sempre. Prima che i dolori riprendano nuovamente il sopravento.
E poi c’è il tuffo da il“Piave” la vecchia nave cisterna della Marina Militare, che, al centro della baia, funge da punto addestrativo. Si salta, in progressione, da 3, da 5, da 7 e da 10 metri.
E quando sei su, anche se hai tutte le sicurezze del mondo, magari perché ti tuffi da sempre, perché in fondo sei un incosciente, ecco la voce dell’istruttore che ti mette “strizza”: “Braccio destro alto sulla testa per darti direzione, sinistro a difesa delle parti basse. Sguardo avanti, non in basso. Stai attento. Senti paura? Te la senti? Sei pronto?” “No!” ti viene di dirgli dal cuore. Ma stai in silenzio, magari preghi, se sei credente. Intanto si dilata la percezione del salto, tanto che quei dieci metri raddoppiano o addirittura triplicano quando sei lì sulla pedana. Se poi davanti a te, c’è chi salta storto, impattando sull’acqua provocando schizzi e gesti mal sicuri per dire che “va tutto bene”, vorresti tornare indietro. Ma poi pensi che se tanto devi fare soltanto un passo per lasciare tutto, tanto vale che quel passo lo si fa avanti e allora salti. E nell’attesa dell’impatto che sembra non arrivare mai riesci a dire il tuo cognome e magari qualcosa in più, di indistinto, assomigliando ad uno shrapnel che sta per esplodere…
E il tempo che non passa mai. Quando magari stai facendo il subacqueo di stand-by: muta, gav e erogatori, il tutto indossato, pronto a scendere in acqua solo nel momento in cui è necessario. Sperando che ciò non succeda, perché vuol dire che qualcosa è andato storto e qualcuno ha bisogno di aiuto. Allora ti stringi sotto la cerata se piove, cercando di limitare al minimo i movimenti e pensi…magari soltanto alla doccia calda, a trovare la posizione che non faccia scendere il rivolo di acqua gelata dentro il collo o cosa ci sarà per pranzo. Oppure quando stai ai remi sul barchino, lottando contro la corrente e le onde, mentre il tuo compagno è sott’acqua e l’altro alla braga, aspettando il cambio turno e sapendo che forse il tutto sarà finito quando ognuno avrà svolto tutti i ruoli. Quando nuoti pinne ai piedi per duemila, e poi quattromila metri e quando pensi di essere arrivato, sentirsi dire di “non fare il furbo. Ti mancano ancora 50 metri” e ti ritrovi come se l’oceano nel frattempo si fosse interposto tra te e l’arrivo.
E il tempo che corre…corre quando stai facendo la doccia e ancora non sei riuscito a levarti il freddo di dosso, corre quando hai voglia di stare ancora a mangiucchiare qualcosa o fare due chiacchiere a tavola, oppure quando stai facendo uno degli innumerevoli test e le risposte non arrivano.
Il solito tempo relativo, quello che durante le 44 settimane sembra non passare mai, “regalando” giorni tutti uguali, scanditi solo dal variare del meteo. Ma che saranno solo un unico, grande giorno, per chi arriverà alla fine.
Per quanto tempo è quindi per sempre?
A volte, solo un secondo…