“A che piano scende?”
“ Superficie grazie! Di solito vado di pinne ma un passaggio questa volta lo prendo”.
Umorismo da ipossia.
Ma alla cronostoria da Sharm mancava un capitolo fondamentale: la slitta!
Lo devo dire…Trent’anni e vergine del mezzo! C’è gente che tra di voi sghignazza, lo so…lo so…ma che volete farci? Ho sempre posto la sicurezza prima di tutto e quindi mi sono sempre guardato bene di scendere su autocostruzioni fatte nei garage della pianura padana nelle notti di nebbia, tra urla di mogli incazzate e saldature che partivano dai tutorial di You Tube.
Perché a farsi male poi ci vuole un attimo! Anche ponendo che il mezzo sia sicuro. Vuoi per la velocità di discesa, la possibilità di incrementare in un lampo le proprie quote operative, è come mettere una torta Sacher davanti ad un diabetico…non c’è niente da fare, anche se sa che gli potrebbe essere fatale, non resiste!
E così anch’io! E allora ho aspettato di farlo all’Only One Apnea Center.
Perché qui? Insomma…basta dare un occhio al palmares delle performance registrate negli ultimi anni nel mondo delle competizioni AIDA e scoprirete che quasi tutti i record passano da qui.
E così, anche se la prima volta non si scorda comunque mai, affinché sia un buon ricordo, bisogna avere gli elementi giusti.
Mare blu, slitta bilanciata con contrappeso, Marco e Gus a farmi da angeli custodi…direi che ci siamo!
Non resta quindi che lasciarsi trasportare e scendere verso l’abisso!
Raggiungiamo la piattaforma con il veloce transfer del gommone. (Anche se ancora devo capire il perché gli egiziani amino guidare con estrema calma e pacificità salvo poi lanciarsi a folle velocità man mano che si avvicinano agli oggetti, vuoi che essi siano subacquei, pontili o altre imbarcazioni).
Comunque già guardare il cavo che si perde nel blu è una sensazione da brividi e se ci aggiungi la speranza (neanche tanto remota) che qualcosa da laggiù possa comparire…vale già il biglietto della giostra!
It’s Show Time :
Countdown da regolamento AIDA.
Respirazione.
Pronti.
Official Top.
Sbang.
La slitta parte, accelera sempre più lungo la discesa mentre il cavo freme e il sibilo aumenta. La compensazione deve essere veloce e precisa. Se solo arriva in ritardo di un centesimo di secondo non c’è nulla da fare. Devi mollare la presa!
“Quanto manca? Quanto manca?” Mi ripeto come un mantra tra una compensazione e l’altra assomigliando ai bambini che viaggiano in auto.
Maledetta ansia da profondità. Non l’ho mai avuta…ed ora è da qualche mese che mi attanaglia il petto.
Colpo secco. La slitta si ferma di colpo. Siamo arrivati.
“Di già”?
Lo sguardo va verso l’alto. Lassù Gus sta ventilando e ci sta guardando. Laggiù il blu è scuro e lascia spazio al nero.
Non ci sono più rumori.
Ci si gira.
Si guarda da tutti i lati.
Ci si gode la neutra quiete.
Marco mi fissa. Mi Indica con il pollice che si riparte. È ora di rientrare su.
“Di già? “ Ci si ritrova a chiedersi ancora. “Qui è così bello!”
Si scopre la relatività del tempo. (Chissà se Einstein era apneista) Quelli che sembrano pochi secondi sono in realtà qualche decina.
Mani sulla slitta, si apre la valvola e il pallone parte tirandoci in superficie.
“Dove scende?” . “ Superficie grazie..ma magari faccio qualche piano di pinna”.
La slitta alleggerita salta fuori dall’acqua. Sbuffa il pallone che si affloscia lentamente.
Noi arriviamo su trasportati dalla positività che ci da la muta. Rincorrendo le bollicine che abbiamo lasciato andare.
L’ultimo pensiero prima di dare l’ok, di sorridere e ridere, è capire che si, a volte si decide davvero di abbandonare l’abisso imponendosi di tornare a respirare.