Qualche giorno fa ero alle Terme di Venturina, in Toscana.
Una splendida piscina esterna, con l’acqua bella calda, i sassolini a massaggiare la pianta del piede, ma non sono qui a raccontarvi le bellezze di questo posto, non questa volta almeno.
Mentre mi crogiolavo nell’acqua, vedo due ragazzini, un maschio e una femmina, dall’età apparente di 8-9 anni che saltavano dal bordo vasca, davano qualche bracciata sopra e sotto, muovendosi tuttavia con poca acquaticità. Ad un certo punto la bambina guarda il bambino e con espressione seria gli dice in perfetto romano (che io non so): “Ao’ però fa’ la vita da’ a’ sirena è difficile”. Esplodo a ridere.
Ma mentre provo una statica mi viene in mente questa battuta e l’ancestrale dilemma “L’acquaticità si apprende o è insita in noi?”
È un’annosa questione che è impossibile dissipare come il nodo Gordiano, l’acqua infatti è vita, ci appartiene come struttura biologica, essendo costituiti da acqua per il 64-66%, ci appartiene come ambiente di nascita, trascorrendo come feto nove mesi circondati dal liquido amniotico, anche due reazioni fisiologiche come il riflesso da immersione e lo scivolamento ematico sono retaggi di un lontana vita come mammiferi marini, d’altra parte, tuttavia è uno spazio sempre nuovo da conquistare e rispettare.
Un neonato immerso nell’acqua non la ingurgita, tiene gli occhi aperti e si muove con grande naturalezza, mantenendo questa confidenza con l’acqua per mesi.
Al pari di una tartaruga marina che, appena rotto l’uovo, immediatamente corre dalla sabbia verso il mare, in quello che è uno dei misteri più affascinanti della natura, incominciando da subito a nuotare senza sosta verso il largo.
L’acquaticità è quindi insita in noi, sono le barriere successive, quelle che invece si sovrappongono che fanno si che, più il tempo passa e l’acquaticità si smarrisce, si perde, per poi rischiare di non trovarla più.
I bambini di quest’altro video sono splendidi, figli delle isole in cui la pesca in apnea non è uno sport ma semplicemente un modo si vivere.
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